Appunti che affrontano l'annoso problema della conoscenza umana. Partendo dal concetto di causalità si passa ad analizzare il procedimento per risalire alla verità dai dati sperimentali o viceversa, secondo il metodo della clessidra. Si citano il calcolo delle probabilità, la verità nella scienza per Heidegger e Husserl, fino al significato di verità nella legge scientifica.
Filosofia della scienza
di Carlo Cilia
Appunti che affrontano l'annoso problema della conoscenza umana. Partendo
dal concetto di causalità si passa ad analizzare il procedimento per risalire alla
verità dai dati sperimentali o viceversa, secondo il metodo della clessidra. Si
citano il calcolo delle probabilità, la verità nella scienza per Heidegger e
Husserl, fino al significato di verità nella legge scientifica.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Filosofia della scienza1. Concetto di causalità e condizioni
Partiamo da un’idea vaga di causa (anche se chiaramente non possiamo sapere a priori cosa si intende per
causa): Newton ha parlato di “vera” causa e non semplicemente di “causa”. Il concetto di vera causa è un
concetto sul quale si è discusso molto: esiste una causa quando si verificano queste condizioni:
C’è una condizione necessaria: una parte di un tizio va al cinema
C’è una condizione sufficiente: il fatto che un tizio sia andato al cinema
C’è una condizione necessaria e sufficiente: 1 + 2
Se non c’è la terza non esiste effetto in un nesso causale; è esattamente quella che viene chiamata condicio
sine qua non. La condizione necessaria e sufficiente (in una parola la causa) è ciò che basta senza che serva
nient’altro per ottenere un effetto. Questa condizione quasi mai sono in grado di coglierla; infatti la vera
causa non coincide esattamente con la condizione necessaria perché altrimenti ogni condizione necessaria
(che non esaurisce il tutto) si trasforma in vera causa!
Ecco che allora diventa difficile determinare la vera causa e di conseguenza capire bene cosa si intende per
causalità.
Carlo Cilia Sezione Appunti
Filosofia della scienza 2. Ontologia e epistemologia della causa. Hume e Kant
A questo punto è bene distinguere il concetto di vera causa ponendoci su due piani:
Ontologico (ossia sapere cosa è la vera causa)
Epistemologico (ossia sapere come facciamo a stabilire la vera causa)
La cosa che facilmente viene da fare in prima istanza è quella di dare maggior importanza al piano
ontologico (seguendo la strada seguita dai “realisti”). Ma questa via ci riporta al problema alquanto
complesso e di non facile soluzione di stabilire cosa e quale sia esattamente sia la causa necessaria e
sufficiente; è per questo motivo che rapidamente si sfocia nell’ ontologismo.
Il problema quindi se pretende di essere affrontato con l’auspicio di trovare qualche risultato utile deve
necessariamente essere affrontato da un punto di vista epistemologico. Ma senza inoltrarci troppo nella
ricerca si nota come facilmente, seguendo un approccio esclusivamente epistemologico il rischio è quello di
cadere nel relativismo. Infatti una delle affermazioni che naturalmente viene da fare è quella che ha fatto
Hume e cioè affermare che “causale è ciò che si verifica nel rapporto di due oggetti contigui a livello
spaziale, temporale e di uniformità”. Kant però ha pensato bene di mettere in crisi questa idea facendo
notare che spesso causa ed effetto sono contemporanei. È per questo motivo che egli preferisce parlare di
“simmetria” tra causa ed effetto (secondo il suo famoso esempio della pallina e il cuscino si vede che
poggiando la pallina sul cuscino questo si fa concavo e l’effetto è contemporaneo ossia non vi è contiguità
come voleva Hume; questo crea un rapporto di simmetria tra la solidità della pallina e la sofficità del
cuscino nel momento in cui questi entrano in contatto soprattutto perché questo evento non può mai
verificarsi all’inverso e cioè che la stessa pallina si faccia concava a contatto col cuscino). Sulla contiguità
spaziale invece Kant è d’accordo con Hume; infatti essa è condizione necessaria affinché si verifichi un
rapporto causale: i due oggetti devono necessariamente essere contigui spazialmente.
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Filosofia della scienza 3. Concetto di causalità. Einstein e entanglement
Kant però, insieme con Hume, sarebbe stato di lì a poco smentito dalle nuove scoperte in ordine alla
meccanica quantistica: Einstein stesso scoprì a proposito della relazione tra fenomeni che non sempre due
fenomeni in relazione causale tra loro dipendono l’uno dall’altro in senso spaziale; o meglio non
necessariamente essi sono contigui. Questo fenomeno è stato poi definito entanglement: esso mostra come è
possibile che si stabilisca una connessione causale tra fenomeni anche a milioni di km di distanza. E per di
più questo fenomeni non è neanche per un attimo dimostrabile a livello locale; esso si verifica solamente a
grandi distanze. La cosa interessante è: come spiegarlo? Newton avrebbe risposto con la frase: “ipotesis non
fingo” (non faccio ipotesi) noi potremmo invece azzardare l’idea che anche se non riusciamo a scorgerla in
realtà la connessione causale esiste. Questa situazione è esattamente quella dell’elettrone nella scatola che
finché non è osservato non se ne può determinare la posizione esatta perché risulta essere come una nuvola.
E dividendo la scatola in due e separando le due parti non saprò mai da che parte sta l’elettrone; questa
incertezza gnoseologica è il risultato di un interazione (che è stata chiamata “passione”) che si stabilisce tra
le due parti; è come se l’una dipendesse dall’altra fintanto che io non mi accerto da che parte sta l’elettrone.
Questo ci fa intuire che esiste un legame causale tra le due metà di scatola, ma risulta impossibile ad oggi,
con la rappresentazione dell’elettrone che abbiamo, stabilire quale sia la “vera causa” che li lega.
La teoria super assodata della relatività ristretta afferma che non esiste velocità superiore a quella della luce
(300.000 km/s). questo fenomeno entra un po’ in conflitto con le nuove teorie sviluppate in meccanica
quantistica; non che esse si contraddicano escludendosi a vicenda, quanto piuttosto risultano inconciliabili. Il
tentativo di conciliazione tra le due teorie a dato vita a quello che è stato chiamato modello standard.
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Filosofia della scienza 4. Reichenbach e la causa comune
Reichenbach ha introdotto il concetto di “causa comune”; ogni volta che statisticamente c’è una correlazione
vi sono due possibilità:
un fenomeno è causa dell’altro (A e B sono collegati e A è causa di B)
esiste una causa comune tra i due fenomeni (esempio: un uomo e una donna si incontrano sempre in piscina.
Il “sempre” indica la correlazione statistica e la causa comune potrebbe essere quella che “se la intendono”).
Nel caso della scatola contenente l’elettrone il concetto di causa comune viene meno: i due fenomeni
sembrano si essere correlati ma non si riesce a trovare la loro causa comune. La teoria della relatività
ristretta non è in grado di cogliere la correlazione e spiegare il fenomeno perché non ammette al suo interno
il concetto di causa comune.
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Filosofia della scienza 5. Principio di determinazione di Heisenberg
E’ bene inoltre considerare all’interno di questo discorso il principio di determinazione di Heisenberg:
secondo tale principio se io calcolo la posizione esatta di un determinato corpo (elettrone) non sarò in grado
di stabilire con lo stesso grado di esattezza la sua velocità e viceversa. Se io quindi “fisicamente” preparo
un esperimento stabilendo da prima la posizione ossia lo “stato” di un dato oggetto (elettrone) sarò in grado
di conoscere con assoluta certezza la posizione dell’oggetto (oppure la sua velocità nel caso in cui avrò
preparato l’esperimento a partire da essa) ma non saprò nulla riguardo alla sua velocità.
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Filosofia della scienza 6. Meccanica quantistica e unità per analogia
La meccanica quantistica invece si preoccupa di stabilire cosa succede in uno stato di “Entanglement” per
cui non conosco a priori né la posizione né la velocità di un dato oggetto se non quando farò
un’osservazione sperimentale sullo stato dell’oggetto. La preparazione dell’esperimento quindi in meccanica
quantistica non segue il principio di determinazione.
Quando parlo di causalità posso dire che essa non è univoca ma è un’ unità per analogia. Si deve infatti
distinguere la univocità (che stabilisce una base comune tra due elementi) dall’ unità per analogia (esiste
un’unità ma non si riesce a trovare ciò che accomuna le due cose analoghe; non si trova cioè il genere
comune).
Per entrare addentro al problema della causalità si deve inoltre avere chiara la distinzione tra fatto (token
ossia un singolo evento che è ben caratterizzato che quindi prende il nome di “fatto”) ed evento (type che
indica un evento generico che non ha una precisa individuazione).
Se noi affrontiamo il problema della causalità da un punto di vista ontologico dobbiamo affermare che essa
abbraccia sia il fatto che l’evento. In realtà però nel mondo, ontologicamente parlando essa riguarda
propriamente fatti non eventi. Riguardo a questo Hume si era espresso in maniera diversa: egli infatti
partendo da un approccio epistemico affermava che è possibile parlare di causalità nella correlazione tra due
eventi solo quando questi eventi si ripetono sempre uguali e si ha la certezza che essi si ripeteranno in
futuro.
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Filosofia della scienza 7. Michotte. Percezione e causalità
Michotte a proposito di questo complica un po’ le cose: egli afferma che è a partire dalla percezione che in
prima istanza si può parlare di causalità: se do un calcio ad un pallone quello si muove e io percepisco il suo
movimento. È chiaro però che esistono percezioni che non risultano valide e vanno ulteriormente indagate,
così come spesso vi sono nessi causali che non siamo in grado di percepire. Ad ogni modo però la
percezione può essere un buon modo per cogliere in prima analisi i nessi causali.
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Filosofia della scienza 8. Calcolo della probabilità, Kolmogorov
Come si vede il quadro che riguarda il concetto di causalità risulta molto frastagliato ed è importante ad esso
aggiungere un altro tassello e cioè il calcolo della probabilità.
p(A) = la probabilità che un certo enunciato A sia vero.
P(a) = la probabilità che un certo enunciato a si verifichi (e quindi in questo caso trattasi di evento).
Kolmogorov (matematico) ha dimostrato che matematicamente p(A) è uguale a p(a). Infatti in entrambi i
casi vale la regola secondo cui si passa da 0 che rappresenta l’insieme vuoto e 1 che è invece la totalità. La
probabilità è quindi la funzione di un insieme vuoto partendo dal quale è possibile raggiungere, passando per
i numeri reali, la pienezza totale dell’insieme rappresentata dal numero 1.
Ma chi ci dice che questo concetto matematico coglie veramente la nozione di probabilità? Bene il calcolo
della probabilità di Kolmogorov funziona con enunciati semplici ma se noi vogliamo calcolare la probabilità
che la teoria della relatività sia vera o si verifichi, incorriamo in problemi insormontabili perché essa al suo
interno implica un’altra serie di teorie già di per sé complicate. Quindi lo strumento di controllo che a noi
serve non è “quantitativo” (che percentuale ha la teoria di essere vera o di verificarsi) quanto “qualitativo”
ossia “comparativo” nel senso di “capacità descrittiva e normativa del mondo” e non solo di correttezza
formale.
Quando parliamo di probabilità sarebbe bene non parlare mai di “probabilità assoluta” cioè p(A) ma
piuttosto di p(A/K) ossia a partire dalle conoscenze di sfondo che noi abbiamo (k = background knowledge).
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Filosofia della scienza 9. Calcolo delle probabilità in Reichenbach, Salmon e Suppes
Reichenbach, Salmon, Suppes hanno addirittura teorizzato che attraverso il calcolo delle probabilità si
definisce il concetto stesso di causalità e in particolare attraverso la formula dell’aumento della probabilità:
Dati due eventi A e B, se affermiamo che p(A) < p (A/B) allora dovremo necessariamente affermare che in
qualche modo B favorisce A, perché dato B, A cresce. In effetti tale formula non ha un valore strettamente
ontologico ma ha un forte valore epistemico. Facciamo un esempio: se io desidero stare con una donna (A)
ma mi rendo conto che tutte quelle con cui ci provo mi dicono di no. Allora decido di vestire firmato
comprare una Ferrari (B) e il risultato è che qualche donna mi dice di si. Anche se attraverso questo risultato
non riesco a determinare quale sia la vera causa (quindi questo risultato non ha valore da un punto di vista
ontologico) è vero però che B favorisce A da un punto di vista epistemologico perché è evidente che
comprando la Ferrari e vestendo bene riesco ad “acchiappare” quindi questo assume un valore dal punto di
vista epistemologico; attraverso l’aumento della probabilità non sarò in grado di dire con certezza che essa
rappresenta la vera causa (ontologico) ma quanto meno esso mi determina una via, una strategia, un metodo
per raggiungere la vera causa. Salmon addirittura parte dalla teorizzazione di Reichenbach e si limita ad
affermare che la causalità non è nient’altro che l’aumento della probabilità.
Dobbiamo però tenere sempre in considerazione che spesso quella che sembra essere la vera causa in realtà
non lo è: a proposito dell’emancipazione femminile per lungo tempo si è creduto che essa fosse
proporzionale alla ricchezza di un paese. In realtà studi recenti hanno dimostrato come non sia la ricchezza
quanto l’istruzione a far aumentare l’emancipazione femminile. Il fatto poi che l’istruzione fosse sviluppata
maggiormente nei paesi più ricchi non deve far cadere nell’errore di considerare i due fattori coincidenti.
Nel caso specifico quello della ricchezza prende il nome di “fattore ombra”. La conclusione è quindi che la
formula sopra riportata non rappresenta uno strumento di verità assoluta e quindi non ha alcun valore
ontologico ma è in grado quanto meno di mettere in luce quali sono i meccanismi attraverso i quali ci si può
avvicinare alla vera causa.
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Filosofia della scienza 10. Cos'è la legge scientifica
Le leggi scientifiche (capitolo 2 del libro)
Che cosa è una legge scientifica? (diciamo già da subito che il destino è quello di non essere in grado di
trovare una definizione precisa di legge scientifica!)
Le leggi sono enunciati generali (e questa è una caratteristica che in linea di principio delinea una legge).
Chiaramente non tutti gli enunciati generali sono leggi. Il problema del filosofo è stabilire quale tra tutti gli
enunciati generali (quindi le migliaia di teoria formulate) si possa fregiare del titolo di “legge” (oltre
chiaramente ad essere una teoria vera). Facciamo un esempio; l’enunciato:
“non esiste in natura una palla d’oro di 10 tonnellate” è un enunciato vero ma non una legge scientifica
perché potrebbe anche succedere che un ultra miliardario decida di crearla.
Invece l’enunciato:
“non esiste una palla d’uranio arricchito di 10 tonnellate” è un enunciato vero e anche una legge scientifica
perché non è fisicamente e chimicamente possibile creare una palla tanto grande poiché essa esplode molto
prima di raggiungere le 10 tonnellate e questo descrive un pezzo di mondo.
Ecco allora che il legame che si instaura tra un enunciato e una legge non è semplicemente di ordine
“sintattico” ma piuttosto di tipo “semantico” e “ontologico”.
Carlo Cilia Sezione Appunti
Filosofia della scienza 11. Van Fraassen, Pargetter e la legge scientifica
Ecco allora che il legame che si instaura tra un enunciato e una legge non è semplicemente di ordine
“sintattico” ma piuttosto di tipo “semantico” e “ontologico”.
Hume aveva sostenuto che le leggi non sono nient’atro che enunciati generali e un enunciato non si
differenzia dall’altro se non per una maggiore o minore generalizzazione.
Van Frassen ha fatto un passo avanti sostenendo all’interno di questi enunciati generali (caratterizzati da una
regolarità persistente) esistono delle distinzioni:
enunciati occasionali che nonostante siano caratterizzati da una regolarità persistente non ci permettono di
poter parlare di legge
enunciati nomologici che oltre a presentare regolarità possiedono caratteristiche che distinguono nettamente
un enunciato dall’altro
Il prof. supera questa impostazione….
Vediamo dunque quali sono che cercano di spiegare il concetto di legge distaccandosi da Hume. È bene
innanzitutto esplicitare il significato del concetto di necessità.
Una prima risposta è stata fornita da Pargetter: “necessario inteso scientificamente significa riferirlo ad un
insieme di mondi possibili”. Qualcosa quindi è necessario se risulta vero in tutti i mondi possibili. Una legge
allora sarebbe un enunciato vero in tutti i mondi possibili.
Questa definizione però ci aiuta poco perché chiaramente i mondi possibili di cui parla non sono
sperimentabili. Infatti anche dal punto di vista semantico è chiaro che se introduciamo la locuzione modale
“possibili” ci discostiamo dal concetto di “necessità” ed entriamo in un circolo vizioso.
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